Skabadip is back

 
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Mark Foggo’s Skasters - "Speeding My Life Away/A State of Mind"  
(CD - Skanky ‘Lil Records - Olanda, 1999)


Se il mio rispetto per Mark Foggo era già ad un buon livello, ascoltare il Mark Foggo di un passato ormai remoto ( quasi vent’anni fa ) fa crescere quel rispetto di molto.
E’ vero che in Olanda lo Ska ha avuto diffusione ed è stato suonato da gruppi locali fin dagli inizi degli anni ’70 e forse è per questo che i 2 dischi di Mark Foggo risultano di particolare interesse musicale ma, nondimeno, "Speeding My Life Away" e "A State Of Mind", dell’80 il primo e dell’83 il secondo, raccolti in un unico cd, costringono a riconsiderare l’anglo-olandese Foggo, come uno dei più talentosi Ska-men nati all’epoca della TwoTone.
Speeding My Life Away è influenzato dal Punk alla maniera di Specials e Selecter e, come questi ultimi, con una propria, distintissima personalità. New Shoes, Ace Of Spades ( per me una delle più belle), il Reggae The Religious Song, Pushing Me, It’s Allright, Is It Wrong sono pezzi Ska che si dovrebbero ricordare come classici di quell’epoca alla stessa stregua di Too Much Pressure, My Girl o Night Club.
Passando al secondo "set" di canzoni ("A State Of Mind"), la sorpresa è maggiore, anche perché ci si trova dinanzi ad un disco al 100% Ska, con ritmiche ricercate, "carico", con testi sempre interessanti e melodie mai scontate.
Mi vien fatto di pensare: se nello stesso anno gli Specials "mettevano una pietra tombale" sulla Two tone( e sulla loro musica!) con l’ellepì "In Studio" che tutto era meno che "Ska", Mark Foggo sfornava un disco modernissimo - se paragonato a tanti gruppi del Nord Europa di 6 anni dopo – con le radici profondamente ancorate nello Ska e nel Reggae.
Bellissime sono State Of Mind, You Know Who, Miss Understanding, The Innocence Of Youth, la modernissima I Do ( se non fosse che è improbabile che in USA conoscano questo disco parrebbe che molte formazioni del nuovo Ska d’Oltroceano si siano ispirate proprio a Foggo!) e la "cattiva" Very Busy, tutte canzoni dall’irresistibile ritmo che mi rende difficile scrivere la recensione perché continuo a muovermi a tempo.
C’è poco da fare, la musica di Mr. Foggo è "Uno Stato Mentale".

Sergio Rallo




 
 
 

Mark Foggo’s Skasters - "The St. Valentine's Day Massacre"  
(CD - Skanky ‘Lil Records - Olanda, 1998)


Quello di cui tra poco vi parlo è il devastante ultimo disco degli olandesi Skasters, capitanati dall’inossidabile e irrefrenabile Mark Foggo. Egli è un’istituzione dello Ska europeo, risalendo il suo debutto discografico al 1980 (l’introvabile album "Speeding My Life Away" che, saggiamente, verrà presto ristampato e qui recensito) e portando da allora alta la bandiera dello Ska con centinaia di concerti in tutto il vecchio continente, un’etichetta discografica che di nome fa Skanking ‘Lil Records ed un negozio di dischi specializzato, indovinate un po’, in musica Ska ad Eindhoven, Olanda, paese in cui Mark Foggo si trasferì nel 1979 dall’Inghilterra e dal quale non pare aver intenzione di muoversi.
"Dato a Cesare quel che è di Cesare" veniamo al CD.
S.V.D.M., dopo il troppo digitale "Haircut" che mi è piaciuto poco, segna il ritorno di Mark Foggo’s Skasters al loro tipico sound che piace tanto ai fan diventati tali dopo l’ascolto degli esagitati precedenti "Ska Pig" e "Couldn’t Play Ska"; un concentrato di Ska moderno e veloce, melodico ed insistente il cui comune denominatore è la voce dal particolarissimo timbro dell’inimitabile Mark Foggo, ironico, comico ed inquietante in quest’ultimo disco come agli inizi del ’90.
Dei 14 brani (tutti cantati) conosco solo "Ramona", qui in una versione diversa e "It’s You", cover del famoso Ska-spiritual dei Maytals; non mi piacciono "Road Rage" e "Stand And Deliver" perché le trovo di una durezza atipica per i Mark Foggo Skasters che conosco io ma, detto questo, il mio entusiasmo per S.V.D.M. è altissimo. "Pussy Cat", "Big Red Cars", "Fat Girl", "Car On A Train", "Ramona", "It’s You", la mia preferita "Knifeman Jack", "One", "Volvo" e la divertentissima "Mame Don’t Like", sono Ska-pop – per usare il termine il cui contenuto spesso sfugge a chi l’adopera – di altissimo livello, Ska al 100% che non smetteresti di ballare e di cantare perché orecchiabilissimo.
Consigliato a chi non gliene frega nulla che la mamma non vuole si suoni lo Ska!

Sergio Rallo




 
 
 

Maroon Town - "One World"  
(CD - Grover Records - Germania, 2001)


Gli inglesi Maroon Town, che pensavo erroneamente si fossero sciolti da tempo, sono invece vivi, vegeti e skancheggianti come non mai! Ne sono profondamente lieto.
Maroon Town, infatti, gruppo di punta della seconda ondata dello Ska (il loro LP di debutto per Link/Staccato Records “High & Dry" è del 1990), dopo il loro secondo album, di cui in tutta onestà non ricordo il titolo ma nel quale ricordo perfettamente che prevaleva il lato funky/hiphop della band, si sciolgono. Era il 1992.
Nel 1994 si riuniscono in formazione parzialmente mutata e pubblicano il loro terzo album, un CD dal titolo “New Dimension" nel quale si sentiva la mancanza di Stevie B e si sperimentava anche la Cumbia. Apprendo invece solo ora dell’esistenza di un album intitolato “Don Drummond" precedente quello di cui qui mi occupo e che vorrò al più presto ascoltare dopo aver apprezzato tanto questo nuovissimo, scintillante “One World".
“One World" è un disco estremamente e piacevolmente dance le cui basi sono prevalentemente Ska e Reggae ma dove brilla una sezioni fiati che spazia dal Soul al Funky senza problemi.
Noto che Maroon Town, probabilmente nell’intento di portare a conoscenza di un pubblico più vasto i loro brani più riusciti del decennio scorso, ripropongono in versioni “rafforzate" da azzeccate varianti negli arrangiamenti “Prince of Peace", il Reggae “Pound To the Dollar" e la potente “Nostalgia" (la prima tratta dal mini LP “Pound To The Dollar" le altre 2 dal citato primo LP).
E hanno fatto bene i Maroon Town che, oltre ai loro “classici" che è giusto vengano goduti dai più recenti fan dello Ska in queste eccellenti nuove versioni, propongono anche una godibilissima title track; solo un terzetto di brani funkeggianti a tutto tondo (“Vision of Hope", “ Fix the Future" e “Streets of San Francisco"); un solare Soul/Rocksteady/Rap come “Every Little Step"; una cover di “Return of The Django" che funge da base ad un Rap.
Caratteristica dei Maroon Town è sempre stato, infatti, rappare su ritmi famosi dello Ska e del Reggae come nel caso di “Nostalgia" o di “Swing Easy" una delle mie preferite di questo CD One World. Ah, grande il nuovo tastierista/pianista!
Dai Maroon Town, che al tempo della seconda ondata Ska ebbero tra i primi il coraggio di miscelare funky e rap con lo Ska riuscendo ad imporre con successo la formula, non ci si poteva aspettare di meglio: sono loro, più skancheggianti che mai nel nostro One World!

Sergio Rallo




 
 
 

Matrioska & La Buz Band - "Can Che Abbaia Divora"  
(Mini CD - autoprodotto - Italia, 1998)


Anche se ha le stesse misure di tutti gli altri compact recensiti fin qui (a me non la si dà mai a bere) "Can Che Abbaia Divora" è, in realtà, un mini CD.
Contiene infatti 3 brani ("Scusacara", "Coccodrillo" e Paola") di vero (Matrio)-Ska a tempi sostenuti e reminiscenze qua (Coccodrillo) e là (Paola) di Vallanzaska e Persiana Jones.
Si tratta della prima registrazione seria dei Matrioska, giovane band milanese che si bea di un crescente successo di pubblico non solo nella propria regione. Forse anche in considerazione di questo, per l’occasione il gruppo ha ampliato la sezione fiati con tromba e trombone, quest’ultimo suonato per l’occasione da Gigi De Gaspari, unico vero trombonista Ska italiano [e ora i Matrioska girano con due fiati fissi].
Motivi "easy" che si fissano velocemente in memoria come "Scusacara" che (Rocco e Gabriele stupite!) è la mia preferita (ma è Rocco che canta?). Con testi decisamente disimpegnati e ironici e momenti di delirio come la chiusura di coccodrillo è quello che propongono i Matrioska.
Io che li ho visti più volte dal vivo devo notare che il sound dei Matrioska ha risentito della purtroppo comune inesperienza di chi sedeva alla console il quale, se della nostra musica capisce qualcosa, sarà certo mesto Ska-pop dei primi anni ’80…e aggiornati no?
Consigliato a tutti gli studenti lavoratori!

Sergio Rallo




 
 
 

Matrioska - "La Domenica Mattina"  
(CD - Doc/Alternative Produzioni - Italia, 2002)


I Matrioska sono vivaci, allegri e rumorosi e, con quest’ultimissimo album dal titolo “La Domenica Mattina", confermano la traiettoria musicale intrapresa con “Stralunatica" che li porta verso lidi più vicini al punk rock melodico che allo ska in senso stretto come dimostrano la veramente graziosa “Non Voglio Più" (uno ska punk rock - con ottimi fiati ska - che apre l’ascolto dell’album) e l’ultima traccia “Mentre Tutto Cambia" (un punk rock).
Quella dei Matrioska, è una miscela di ska, punk, pop e rock limpida, pulita e dall’impianto solido come solo certe band ska-core hanno, non è mai grezza e colpisce nel segno: melodie di istantanea orecchiabilità e testi adatti a liceali di ogni età fluiscono velocemente da strumenti e voci della band milanese (a proposito, le interpretazioni del lead vocalist Antonio Di Rocco, come il buon vino, migliorano sempre di più man mano che passa il tempo).
Il CD, con pregevole artwork “domenicale" con tutti i testi delle canzoni a mo’ di articoli giornalistici, contiene tracce energetiche in battute al minuto ed ampie schitarrate distorte, il tutto spinto da incisivi riff di ottoni alla Bosstones.
Matrioska offrono con “La Domenica Mattina" sana adrenalina di cui fan parte “Non Voglio Più", la title track, “Lezioni di Mineralogia" (grande ska-pop-trash ed una delle migliori tracce del disco per originalità) e “Mi viene naturale" (ska/rock) e “E’Solo Un Gioco" (altro potente punk rock). Non male, poi, il punk “Immagini" ed il bello ska rock pop “Senza Scampo" nel quale si apprezza al meglio quel buon sapore di canzonetta italiana che pervade tutta la produzione musicale dei Matrioska e che, probabilmente, è alla base del successo del gruppo.
Il mixaggio è “cristallino" ed esalta il lavoro della band, i suoni sono quelli giusti per la miscela skatrashcorerock dei Matrioska che, inoltre, non paiono neppur aver accusato l’uscita di scena di Gabriele Durante (basso storico).
Unico difetto di “La Domenica Mattina" è che dura solo 28 minuti anche se ho il sospetto che sia una decisione tattica: pochi ma buoni.
Consigliati agli appassionati di ritmi tesi e veloci e pogo sfrenati.

Sergio Rallo




 
 
 

Matrioska & La Buz Band - "Passi Se è La Prassi"  
(CD - Riot Records - Italia, 1999)


A neppur un anno di distanza dall’uscita del singolo che in queste pagine ho recensito, ecco che Matrioska si ripresentano con un intero ellepì dal titolo Passi se è la Prassi.
Lungi dal controllare cosa scrissi all’epoca di quella recensione, mi basta ascoltare la prima traccia per rendermi conto che, quanto ad impegno, Matrioska non hanno scherzato: i suoni del disco, 11 tracce di Ska veloce festaiolo e frenetico, questa volta sono più "carichi" e rispondenti a come Matrioska risultano poi dal vivo, si sente che – questa volta – al Settenote studio hanno fatto del loro meglio.
Molto più demenziali dei Vallanzaska del nuovo disco ma con una innegabile stessa vitalità, Matrioska non deluderanno certo i loro fan; e per andare subito al sodo parlo subito della musica di Passi se è la Prassi: il cd parte in quarta con Veritiero Gionatta, un brano sostenuto da una bella melodia dei fiati che sembrano cercare ‘sto Gionatta che sarà, alla fine dei conti, da qualche parte a fumare; segue Il Coccodrillo, anch’esso pieno d’ottoni e con una fine fulminante non foss’altro per il funerale (del cocco?); 5% è il successivo brano che nonostante io odi tutto ciò che ha a che fare con la matematica, bene esprime l’angoscia numerale cui tutti noi s’è sottoposti; L’Arca di Noè, potente traccia n.° 4, ricorda da vicino i Busters; unica cover La Partita di Pallone mentre Turbe e il semi-strumentale Moonska, uno a seguire l’altro, sono i brani che mi sono piaciuti di più forse perché sono anche i più "differenti".
Il mio orecchio critico, non sostenuto ahimè, dalla dovuta preparazione teorico/musicale, s’insospettisce in qualche "passaggio"durante l’ascolto in cuffia; meno, dallo stereo e ad un adeguato volume che è comunque il modo migliore per apprezzare Mr. Durante (basso) & Friends (tutti gli altri strumenti, voce compresa)..
Chi m’ha messo il gatto nella turca?!!!!

Sergio Rallo




 
 
 

Matrioska - "Stralunatica"  
(CD - Sonora - Italia, 2001)


Sono tornati e, forse, non ce ne libereremo più! Matrioska, ridotti di numero e, conseguentemente, di uno strumento (la tastiera, ahi!, ahi!), hanno avuto nuovamente la sfrontatezza di mandarmi il loro nuovo CD, Stralunatica che, tosto, recensisco.
Comincio col dire che, esteriormente, è curato e leccato, con foto e testi per cantare tutti insieme.
Musicalmente, Stralunatica, con i suoi 11 pezzi si distingue dai precedenti lavori del gruppo milanese per un impatto d’ascolto generale molto più rockettaro/punk, vuoi per l’accennata assenza della tastiera che era solita fare un “tappeto" tipicamente Ska, vuoi per una tendenza più modaiola ma al passo coi tempi e con le preferenze musicali dei più giovani cui Matrioska da sempre si rivolgono.
E così, le prime 5 tracce scorrono veloci su di un ritmo basic piuttosto veloce con abbondanza di schitarrate di cui la title track è la più vivace e la più adatta ad una classifica.
Il primo – breve – rallentamento dopo ritmi da collasso lo trovo in “Mia madre dice…" che prelude ad uno Ska swingato dal titolo “La mia città" col quale si sposa perfettamente il singin’style di Rocco che fa molto canzonetta nella migliore tradizione italiana.
Alcuni brani sono già parte del repertorio dal vivo dei Matrioska da lungo tempo, tipo Paola, Uomo nel pallone e Cinque percento qui in versioni più dure ed “asciutte".
In Stralunatica si trova qualche accenno a Persiana Jones qua e là, con la basilare differenza dai piemontesi che Matrioska non si prendono mai troppo sul serio.
Molto carina la canzone intitolata “Ai vostri posti" che ricorda vagamente qualcosa dei Vallanza di Cheope e la citata skatenata “Cinque percento" in versione corale a rendere bene l’idea del fuorissimo Ska/Pop/Rock dei Matroska.
Essenziale durante le okkupazioni per la stagione 2001/2002.

Sergio Rallo




 
 
 

The Maytals - "Monkey Man/From The Roots"  
(CD - Trojan Records - UK, 1999)


Due elleppì in un cd sono già abbastanza allettanti, nel rapporto qualità/prezzo, per un qualsiasi fanatico di Reggae – meglio: Reggay, nel suo primo "spelling" – che potrebbe non aggiungersi altro per invogliare a comprarlo. Ed allora, che recensirei a fare?
Di tutti gli eccezionali terzetti vocali giamaicani quello formato da Toots Hibbert, Henry "Raleigh" Gordon e "Jerry" Mathias Mc Carthy è, senz’altro, quello che trasmette le vibrazioni più intense, vuoi per le loro commoventi per quanto belle armonie vocali - sempre intensamente colorate da una spiritualità coinvolgente e meditativa - vuoi per l’incomparabile ed irraggiungibile modo di cantare di Toots che profonde nella sua musica così tanto sentimento e gioia di vivere da farmelo personalmente ritenere una delle poche personalità veramente "mistiche" di tutta la musica di cui sono a conoscenza.
I 26 brani della raccolta di cui al titolo non faranno altro che confermare quanto sopra, con l’addizionale sorpresa di farci ascoltare parecchi brani di una certa rarità come "Gonna Need Somebody" e "I Alone", mai pubblicati prima fuori della Giamaica e datati 1969/70, ovvero l’epoca più creativa del trio nero sotto la direzione del leggendario produttore Leslie Kong.
I due originali LP, Monkey Man e From the Roots, non erano altro che raccolte, preparate su iniziativa della Trojan, dei numerosissimi 45 giri pubblicati dal gruppo noto, tra l’altro, per essere tra i più prolifici.Ottima la proto-versione di "Peeping Tom" ed i lenti "I Shall Be Free" e " The Preacher"; eccellenti la terza versione di "Never You Change" a mia conoscenza e le sconosciute "Sun Moon & Stars", "Gold & Silver", "A Time To Love", "Got To Feel (It)" nonché la "preghiera" Thy Kingdom Come".
Con questa collezione di inizio millennio, conto ben 18 LP/raccolte "principali" dedicati ai Maytals che, anche in questo caso, sono accompagnati dalle impeccabili, caldissime ritmiche della potentissima "studio band" di Leslie Kong: Gladston Anderson al piano, Paul Duglas alla batteria, "Hucks" Brown alla chitarra che trasuda blues, Winston Wright all’organo e Jackie Jackson al basso ovvero: The Dynamites.
Toots & The Maytals dovrebbero essere oggetto di studio nelle scuole.

Sergio Rallo




 
 
 

MFS - "Where It Ends"
(CD - Leech Records - Svizzera, 2004)


MFS, band svizzera del genere punk/hc, non c’entra nulla con la musica suonata a Skabadip come il loro EP "Where It Ends ", seconda registrazione in studio, dimostra ampiamente.
MFS propongono infatti un potente cocktail di punk/hard rock e hard core per cuori forti che poco si concilia col rocksteady e lo ska che solitamente si recensisce su queste pagine nondimeno, mantenendo fede al proposito di recensire qualsiasi cosa ci mandino, beccatevi la mia opinione.
Due chitarre imbizzarrite caratterizzano le 7 tracce (anche se il lettore ne indica 8 grazie alla divertente intro parlata della prima traccia che si intitola "Innuendo ") di "Where it Ends " anche se, trattandosi di musica a me poco congeniale, era più opportuno intitolarlo "WHEN it Ends".
MSF hanno comunque il pregio (comune ai loro colleghi famosi dei Limp Bizkit, Blink 182, Slipknot) di essere piuttosto melodici, urlano non sempre ed hanno uno spirito piuttosto hard rock che hc come "Peng Peng Revolution " sembra sottolineare. MFS si concedono anche variazioni ritmiche di buon effetto uditivo come in "Ba " Days" che contiene degli efficaci stop che ravvivano l’ascolto.
Altra traccia che identifica MFS come perversamente affascinati dall’hard rock è "Sad Girl " che mi è parsa la migliore del disco e che ha un inizio che esalta le doti canore del cantante del quale si apprezza la voce.
Le meno particolari e, nell’insieme, più banali sono "We’re The Ugly " e "Texas Ranger " che, data la mia poca propensione a capire l’inglese, non ho capito se dedicata all’inespressivo Chuck Norris (il telefilm fa ca….re ma lui è stato comunque un valoroso guerriero) o meno.
I fan dei gruppi citati - i quali dubito comunque che leggano SkabadiP – potrebbero apprezzare.

Sergio Rallo




 
 
 

Mighty Mighty Bosstones - "A Jackknife To A Swan"  
(CD - Sideonedummy Records - 2002)


E rieccoli, finalmente!! I BossToneS ritornano dopo poco più di un anno dal loro ottimo Pay Attention con un album tutto nuovo e con qualche novità. Beh, innanzitutto siamo arrivati al decimo disco in più di 15 anni di attività. Non male coi tempi che corrono. Fino ad ora, nonostante gli alti e bassi, i BossToneS sono usciti indenni da mode passeggere, meteore dello ska-core, e non per ultimo da alcuni anni passati nel limbo del pieno successo commerciale (1997, anno di uscita dello strepitoso “Let’s Face It").
La prima grossa novità che salta all’occhio, e in seguito pure all’orecchio, è una sorta di ritorno al passato con l’abbandono della Major, la Island Def Jam, per la piccola e indipendentissima Sideonedummy Records, etichetta con un occhio, anzi due, strizzati al punk hardcore. Poi? Alcuni cambi di formazione: primo disco senza il chitarrista Nate Albert, sostiuito da Lawrence Katz, senza Dennis Brockenborough (trombone) e al suo posto Chris Rhodes (the Hippos), mentre già da un annetto buono, un nuovo sax tenore, Roman Fleysher (ex Spring Heeled Kack, ricordate la Moon Records??), è andato a sostituire Kevin Lenear.
Che altro? Una grafica essenziale, poche note di copertina, i testi delle 13 canzoni ed una copertina disegnata da Chrystian Clayton, già noto per milioni di altre copertine in giro qua e la (ha l’esclusiva per i Voodoo Glow Skulls ad esempio). Veniamo al disco.
I brani son 13, già detto. Il clima è quello che si respira su per giù in ogni album dei BossToneS: chitarrone poco gentili, ritmi sostenuti, la classica voce gutturale del buon Dicky Barrett, sapientemente mixate e alternate ad un buon ska, ora più lento, ora più arrabbiato, sostenuto da una discreta sezione fiati. Ascoltando il disco non si ha l’impressione che la band voglia saltare sul treno del facile successo proponendo punk rock melodico di sicuro richiamo, specie tra i teenagers.
Piuttosto, a lungo andare si assaporano vecchi suoni presenti nei loro vecchi album. Forse non nei primissimi e storici More Noise and… ma in quelli intermedi come “Question the Answers" e “Don’t Know How To Party". Si inizia con un paio di sparate molto punk rock che ti fanno pensare……."adesso arrivano un paio di riff coi fiati" e infatti, puntuali e abili come nessun altro, ecco che tra le distorsioni della chiatarrona del neoacquisto Lawrence Katz, si fanno largo i due sax ed il trombone. Miscela esplosiva...
Scorrono con classe le prime canzoni, la title track, A Jackknife To A Swan, seguita da Mr Moran. Brani potenti, in chiave decisamente più punk rock che altro. Quasi si sente la mancanza dei primi riff decisamente ska, ed eccoli puntuali a metà della terza traccia, You Gotta Go! (scaricatevi il video dal loro sito, solo 8mega in formato real). Poi, puntualissima una traccia 100% ska….. Ska alla BossToneS, intendiamoci, rilassata, tranquilla e pronta ad un sing along in crescendo che non può non provocare i primi movimenti sussultori del mio corpo.
Il cd procede, a mio parere, su un livello mediamente alto, intendendo con questo una buona dose di originalità, pur senza distaccarsi troppo dalle sonorità alle quali ci hanno abituati da tempo. Si riconoscerebero tra mille e anche per questo è difficile descrivere cosa viene fuori dall’impianto stereo. Banalizzando, si può dire che su 13 canzoni, circa la metà ha un impronta ska molto forte. In questo senso, “Chasing The Sun Away" e “S#!%t Outta Luck" sono forse gli esempi più lampanti.
Il resto….beh il resto è tutt’altro che fuffa, come si dice. La miscela di cui ho straparlato e sulla quale non mi dilungo oltre di cui la band di Boston è maestra, oltre che creatrice. Divisioni di questo genere servono per cercare di dare un’idea, molto vaga mi rendo conto, di cosa sia questo disco. Disco chiuso da un rhythm & blues un po’ così così per la verità.
In una parola, è Ska-Core. Ma ska-core alla Mighty Mighty BossToneS.

Antonio Crovetti




 
 
 

Mighty Mighty Bosstones - "Pay Attention"  
(CD - Island Def Jam - 2000)


Se un giorno i MMB dovessero uscirsene con un doppio cd nel quale non si sente altro che il cantante Dicky Barrett mentre fa i gargarismi nel bagno di casa sua per due ore filate, credo che griderei al capolavoro. Confesso che ogni disco della band ha per me un sapore tutto suo e non riuscirei, anche sforzandomi, a paragonarlo agli altri lavori, e tanto meno a parlarne male.
Questo cd era attesissimo dai fans da un sacco di tempo. Annunciato, poi posticipato, mentre membri del gruppo lasciavano la band in circostanze misteriose. Dopo i dischi di platino ricevuti per “Let’s face it" si può immaginare come l’attesa fosse alle stelle.
Eccolo finalmente. 16 pezzoni alla Bosstones, col loro inconfondibile mix di ska, punk, hardcore, metal, rock e quant’altro. Particolarità e abilità degli otto ragazzoni di Boston è sempre stata quella di riuscire a frullare generi diversi tra loro nello stesso brano. Magari partendo in quarta con chitarrone arrabbiatissime per passare senza alcun trauma a riffs puramente ska.
Il look è quello di sempre giacche cravatte e Doctor Martens regolamentari. Quanto basta per farsi amare da rudies e punkabbestia. Testi che vanno dal personale al sociale, all’impegnato.
Veniamo alla musica: se si guarda il disco secondo una logica evoluzione della musica della band, non stupisce che la musica si sia leggermente “raffinata" (ma non infighettata) rispetto ai precedenti lavori. La stessa cosa si era detta a suo tempo per “Let’s Face It". E la stessa cosa la dirò ancora per il prossimo album. C’è sicuramente meno ska rispetto al passato, forse più rock di quello arrabbiato, anche se il costante uso degli imperiosi ottoni non mentono sulle origini del gruppone.
Si inizia con l’adrenalinica “Let me be" con tratti molto ska, intervallati da parentesi metal. Si prosegue con “The skeleton song"; un pezzo per nulla ska, ma coi fiati protagonisti di intermezzi che potrebbero venir buoni in un qualsiasi disco di quelli che ascoltiamo da mattina a sera. Ska puro in tutto il suo godereccio levare e con l’aggiunta di percussioni puntuali ed un korg da brivido mi commuove in “All things considered", dal testo strappa lacrime.
Fiati a farla da padrone in “so sad to say", mentre passa piuttosto inosservata la successiva “Allow Them", uno ska-rock senza infamia e senza lode. Si sprecano i fazzoletti nella malinconica “High school dance", mentre viene da cantare all’infinito sul ritornello di “She Just Happened" un brano con un non so che di Springsteeniano, altra caduta in “Finally", ma ci si rimette in piedi con lo ska-core di “I know more"; si resta poi piacevolmente stupiti dall’originalità di “Riot on board street" brano assolutamente inclassificabile, nel quale spicca un energico fiddle irlandese e riffs folkeggianti alternati a ska-core di prima classe. Si prosegue a corrente alternata con brani che andrebbero riascoltati altre mille volte, all’apparenza anonimi, ma che in realtà nascondono novità e trovate geniali ora nei fiati, ora nei cori, ora nel testo.
E’ questo che mi piace dei Mighty Mighty Bosstones. Canzoni che conosco a memoria per averle ascoltate migliaia di volte nascondono sempre qualcosa di nuovo. Segno che questa è una grande band. E i loro sono, per chi scrive, grandi dischi. Ancora degno di nota lo splendido “Where You Come From" ed il brano che chiude l’album “The Day He Didn’t die", scritto e dedicato ad un amico scomparso. Toccante. Album finito? No, si ricomincia daccapo è lo stesso disco, ma quasi non lo riconosco.

Antonio Crovetti




 
 
 

Millie - "Time Will Tell"  
(CD - Trojan Sanctuary Records - Inghilterra, 2004)


Millicent Small sarà ricordata per sempre come la prima star internazionale della musica giamaicana ma anche, purtroppo per lei, come la prima star giamaicana caduta nell’oblio.
Millie inizia la sua carriera artistica registrando, nel 1962 a 14 anni, alcuni ska per Coxsone anch’essi presenti come "bonus tracks" in questa riedizione del suo unico album reggae datato 1970.
Nel 1964, trasferitasi in Inghilterra al seguito di Blackwell in veste di suo manager, registra "My Boy Lollipop " durante quella famosa sessione diretta ed arrangiata da Ernie Ranglin ed in cui leggenda vuole che suonasse l’armonica Rod Stewart! Il pezzo diviene appunto una vera e propria hit.
In realtà Millie era già avvezza ai vertici delle classifiche della natia Giamaica avendoli raggiunti in duetto con Roy Panton con "We’ll Meet " proprio nel 1962 ma "My Boy Lollipop " si rivelerà l’unico effettivo successo che trascinerà anche le buone vendite dell’omonimo album, come detto, diretto ed arrangiato dal veterano chitarrista ska Ernest Ranglin.
"Time Will Tell", senza malizia e sorvolando sulla copertina originale raffigurante una Millie in topless con pagaia in mano a cavalcioni di una bananona blu con incrostazioni gialle, riascoltato 34 anni dopo la sua uscita, fa intuire le ragioni per cui non ebbe la stessa accoglienza da parte del pubblico.
Nonostante gli ottimi ritmi che accompagnano Millie poco più che ventenne in tutte le 13 canzoni dell’originale LP siano eseguiti dalla top reggae session band costituita dai Pyramids/Symarip gli arrangiamenti della sezione fiati, laddove si possono ascoltare, non hanno nulla a che spartire con quello che nello stesso periodo veniva registrato a Kingston.
Anche il backing vocal, registrato sempre da Millie si palesa nella sua poca immediatezza. "Time Will Tell", poi, è palesemente un disco registrato apposta per i bianchi piuttosto che per gli immigrati (basti pensare alla veramente sdolcinata "White Boys") ma, nonostante la mancanza di calore, canzoni come "Melting Pot", "Give Me tomorrow", "Going To The Circus" e "Sunday Morning" mi sono piaciute abbastanza.
La migliore dell’album a mio modesto parere è comunque la scattosa "No Good".
Detto ciò dell’originale album, con la presente riedizione si possono godere ben 15 "bonus " tra cui, oltre ad ulteriori duetti con Roy Panton in stile ska ( "You Are The Only One ", "Oh Merna " e "Marie "), anche 3 duetti con l’eccelso Wilfred "Jackie " Edwards in perfetto stile soul (The Vow, My Desire e Ooh Ooh) come si addice al personaggio.
Le tracce che ho trovato migliori (o comunque meno noiose non essendo dei lenti, sono il r&b "My Street ", il rock ‘n’roll intitolato "Peaches and Cream " e lo ska/soul "You Better Forget " stili che si adattavano perfettamente alla voce acuta di Millie.
"Time Will Tell" è una raccolta che ha qualche valore storico/documentaristico esclusivamente per gli appassionati, astenersi tutti gli altri.

Sergio Rallo




 
 
 

Monkey Shop - "Monkey Business"  
(CD - Elmo Records - Germania, 1998)


Molto divertente, non c’è che dire. Moneky Business (seconda fatica dei tedeschi Monkey Shop) è senz’altro uno di quegli album che fin dal primo ascolto ti fa pensare che le tue convinzioni sulle eccezionali potenzialità dello Ska sono, una volta ancora, confermate.
A confermarle sono gruppi come Moneky Shop, gruppi cioè che considerano i molteplici "groove" creati in Giamaica come un vero tesoro di ritmi da cui attingere a piene mani per divertirsi a trovare nuovi effetti, nuove suggestioni mischiandoli con RnB, Swing, Soul, Jazz, Pop, Two Tone e Dub.
Risultato di questa attività i 18 pezzi del presente Cd di sicuro sono uno dei più collezionabili prodotti di "Ska moderno" (ascoltate lo Ska Dub Soul dal titolo "Weird Company"). E con Ska tra virgolette perché fra Rocksteady (superrilassante "Routine"), Ska tradizionali ("John Major"), Early reggae (da non perdere "Killer") e Two Tone (bella canzone "No Time" c’è solo l’imbarazzo della scelta.
Imbarazzo che non c’è sulla scelta di questo godibilissimo CD e…occhio alla scimmia!

Sergio Rallo




 
 
 

Monocromo - "Monocromo"  
(CD - Progetto Sottosuono - Italia, 1999)


Monocromo è un sestetto della Provincia di Lecco che propone una miscela di punk rock e Ska confezionata in un cd (tanto per cambiare) a scacchi bianchi e neri sulla cui copertina campeggia la "m" in stile Madness del nome della band.
Con i Madness, i Monocromo, non hanno però nulla a che fare come si deduce dalle canzoni "Stelle Musicali", "Nun Mitrà" e "Punk’m People", musica punk che ricorda altre formazioni già affermate con testi (condivisibili quanto banalotti) contro uso di droga ed alcool.
Per fare una breve carrellata sugli altri brani (6) non punk, basti dire che l’unico pezzo che non mi è dispiaciuto è "Sogni" ("intimista" come il reggae "Come Noi" e le prime due punk citate) nonostante, anche lì, il problema dei Monocromo, sia la "rhythm guitar" che il levare della musica Ska non sa decisamente dove si trovi.
Se la cava meglio nel punk.
Oltre che con una "Bella Ciao" Ska, del tutto evitabile perché proposta da quasi tutti i gruppi Ska che orbitano nel circuito dei centri sociali da 20 anni a questa parte, Monocromo riempiono il cd con gli Ska in lingua inglese "I Love You" e "Ska in Your Mind", anche qui: condivisibile impegno ed entusiasmo ma pochino il contributo artistico che rivela come i Monocromo siano ancora un gruppo acerbo, che deve ancora farsi le ossa.
Mi vien da citare, giusto per incitare Monocromo a suonare il più possibile, Virgilio: "Labor omnia vicit improbus" ed una miglior recensione potranno ottenere.

Sergio Rallo




 
 
 

Monocromo - "Quante Verità"  
(CD - Mono - Italia, 2002)


Monocromo, con “Quante verità", loro vero primo album, rivelano un’inaspettata dose di energia ed una notevole capacità creativa nell’interpretare la musica Ska che mi è piaciuta subito.
Il loro è un bello Ska, veloce al punto giusto, non esasperato e melodico, cattivo quanto basta con accenni di rock sparsi qua e là.
Il disco inizia con “Urlava", una traccia tra Ska, Rock e Reggae, l’assenza dei fiati non è una “mancanza" ma una precisa scelta artistica; segue “Mario", bell’intro, Ska veloce con ritornello che fa un bell’effetto in crescendo, risalta il buon uso della tastiera e risulta pregevole il solo di pianoforte che, nella sua semplicità, partecipa notevolmente nel dare una personalità ricercata ad un gruppo di Ska moderno, non solo in questo pezzo; “Quante verità", la traccia che dà il titolo al CD, è uno Ska dalla struttura precisamente tradizionale, con un testo molto buono ed una melodia che a me è piaciuta parecchio e da subito. Il solo Rock di chitarra, poi, rende questo brano molto interessante per l’effetto che fa.
Con “What Can I Say", si ritorna allo Ska modero e veloce, sul ritmo del quale “viaggia" - con ottimi risultati all’ascolto - un preciso violino che dona un “qualcosa in più" ad una traccia il cui scopo, pienamente raggiunto, è la danza pura. L’apprezzamento per il lavoro dei Monocromo è totale, poi, per la canzone dal titolo “Yuri", dove il violino si conferma strumento che, grazie ai Monocromo, sembra essere nato per lo Ska.
Ska sempre moderno e lineare ma questa volta accompagnato da una bella sezione fiati è “Quello che Sei" che possiede un andamento molto coinvolgente e ha anch’essa un testo particolarmente significativo.
“Studio" è un brevissimo “stacco" di Reggae original cui segue, il bel Reggae/Ska “It’s Over" divertente e solare con ritornello in inglese e, anche qui, intervento gradito del violino.
Grande inizio per “L’albero di vetro" con una tastiera “perfetta" in quel che fa, presenti i fiati.
“Lolita" è uno Ska dagli accenni Rock e ha un’abbondanza di suoni, sax in levare, violino, sezione fiati, che lo differenzia dal resto dell’album, cantato tutto in spagnolo devo ammettere che preferisco l’italiano.
“Stella Cometa", l’ultima traccia ed unico brano non Ska dei Monocromo, già la conoscevo nella sua versione originale Reggae dal demo che pure recensii su queste pagine web. A differenza di allora è in versione acustica e devo dire che la trovo molto migliore di quanto l’avessi precedentemente giudicata anche se preferisco il cantante Fabio De Bernardi nei predetti Ska stormer piuttosto che nei lenti.
L’entusiasmo che mi ha suscitato “Quante verità" è sincero e scaturisce dall’apprezzamento per la creatività della formazione Lecchese che è riuscita ad ottenere in breve tempo un proprio personalissimo suono, vuoi per la particolare voce del cantante in grado di esprimersi con intensità, vuoi per le trovate musicali ben inserite nello Ska come l’uso del violino di cui ho detto, vuoi per i testi, apolitici, esistenziali, seri.
A fare i pignoli, i Monocromo non sono precisissimi, ma se è per questo non lo erano neanche gli Specials!
Monocromo sono senza dubbio tra le formazioni da tenere d’occhio sulla sempre più fervida scena ska, promettono bene, garantito.

Sergio Rallo




 
 
 

Monty Alexander - "Yard Movement"  
(CD - Island Jamaica Jazz - 1996)


Questo è il classico disco sul quale si potrebbe scrivere una di quelle recensioni paccosissime, in cui si parla lungamente della vite e opere dell’artista nonché dei riferimenti ai suoi possibili ispiratori quali Thelonius Monk e, perché no, il pianista "classico" Glenn Gould.
Noi invece preferiamo dire solo una parola: RITMO. Essendo Monty Alexander il produttore del disco di Ranglin sopra recensito, ed essendo lo stesso Ranglin chitarra solista in questo Yard Movement potremmo dire le stesse cose scritte per "Below the Bassline" per quello che riguarda i contenuti musicali.
Tanto Reggae nell’entusiasmante e personalissima riprosta dei due "Exodus" più famosi della musica giamaicana suonati in due Movimenti nella prima traccia. Ma anche un bellissimo Ska registrato live dal titolo "Regulator" e un dolcissimo Rocksteady che sembra suonato dai "Soul Vendors" con un’altrettando dolcissima Intro per piano dal titolo "Love Notes".
Consigliato agli stessi che si comprerebbero il disco di Ernest Ranglin e a tutti gli amanti della buona musica in generale.

Sergio Rallo




 
 
 

The Moon Invaders - "First Wave"  
(Mini CD - autoprodotto - Belgio, 2002)


Era da secoli che non ascoltavo ska proveniente dal Belgio e devo ammettere che l’attesa è stata ripagata dai Moon Invaders.
Il loro mini CD First Wave, che contiene solo 5 brani tra cantati e strumentali, è ricco di melodioso Ska tradizionale di ottima fattura. Pure con piacevoli e perfettamente contestualizzate citazioni come l’inizio della bella “Brighter Days". “Tropical Punch" invece è uno strumentale jazzoso, mentre “Land Of Dreams" è un bello Ska/Swing dominato dalla saltellante tastiera che adoro, dallo stile molto blues e dal divertimento assicurato.
Suoni belli pienotti e stile sempre mirato allo Swing caratterizzano “Gone Tomorrow". Chiude questo piacevole “First Wave" il lungo e notevole reggae tra two tone ed original dal titolo “Twenty Four Seven".
Veramente convincenti i Moon Invaders e, anche loro, da tenere bene d’occhio da parte del fan di ska tradizionale.

Sergio Rallo




 
 
 

The Moon Invaders - "The Moon Invaders"  
(CD - Grover Records - Germania, 2004)


Fino a poco tempo fa se qualcuno mi chiedeva qualcosa dello ska belga non avrei saputo indicare alcun nome oltre a quello dei Simka’s del 1980! (Okkei, sarò anche "Da Profet" ma mica riesco a seguire tutte le band ska del mondo intero!).
Da qualche anno (due per l’esattezza) conosco invece i Moon Invaders che, quanto a ska, sanno decisamente il fatto loro.
L’omonimo album di cui ora mi occupo, primo long playing dei Moon Invaders, è una vera e propria "opera ska" constante di prologo, tre interludi ed un epilogo oltre che di due "bonus track" probabilmente non presenti sull’originale album uscito, in realtà, l’anno scorso e che portano ad un totale di 50 minuti e 45 secondi la sua durata.
Saldamente ancorati all’alveo dello ska rocksteady puro come il brevissimo "Prolog" dà subito ad intendere, i Moon Invaders si pregiano di una sezione fiati notevole e cool, una ritmica piena di tiro e di validi solisti pronti ad abbellire l’andamento dei pezzi con pregevoli riffini oltre che di un cantante di prim’ordine sempre accompagnato da cori mai barocchi.
Moon Invaders, oltre ad essere veramente bravi, non propongono neppure una cover ma solo originali sui quali ora vi do un paio di dritte.
"Finger Poppin’ Foot Stompin’" è uno ska brillante in melodia ed arrangiamenti, sullo stile degli Hepcat per intenderci; "City Of Fire" è un gran bel reggae moderno che potrebbe consolare gli "orfani" dgli apprezzatissimi Court Jester’s Crew; "Fool Again" è uno slow ska che non ho imbarazzo a definire splendido, interpretato dal Matthew Hardison alla grande e del quale ultimo si apprezza l’intensità del canto.
Si arriva, così, al primo interludio "Lude #1" è un dub dominato dalla melodica di eccezionale spessore che dura quasi 2 minuti; "Shame and Sorrow" è uno ska/rocksteady sullo stile delle classiche ballate che tra il 1966 e 67 venivano dedicate ai rude boys; "Castaway" è un altro ska in cui oltre al cantato sempre brillante si apprezzano tastiera e trombone ed è tra le migliori dell’album; "Besides" è una ballata reggae che ci porta al secondo interludio, "Lude #2" che, questa volta, è un early reggae alla Dynamites in cui nuovamente entusiasma il tastierista il cui organo dolcemente ci culla; "Guardian Angel" ricorda qua e là le melodie dei Wailers del periodo ska fino al "bridge" che si gonfia con il levare dei fiati per lasciare la scena ad un bell’assolo di sax; "Congo Square", lo dico subito, è uno strumentale che dell’album è uno dei pezzi migliori oltre ad uno dei più bei pezzi originali che abbia ascoltato recentemente, e non sto esagerando. Mitico, ancora una volta, il tastierista.
"Love Her Soul" è il bello ska che indico tra i cantati dei Moon Invaders che mi hanno solleticato di più e che precede il terzo ed ultimo interludio, nuovamente reggae strumentale per 42’’ che introduce la soulful "Blue" dalle intense venature r&b/doo wop e che rappresenta un’altra grande interpretazione del bravo cantante; "Devil in disguise", che si caratterizza per l’introduzione veramente soul, è l’altra traccia che mi è piaciuta subito e che merita di essere conosciuta da chi apprezza Scofflaws, Slackers e i citati CJC; l’epilogo, infine ma non ultimo, riprende lo ska strumentale del prologo dall’assolo di trombone che si cimenta in citazioni apprezzate. "City of dub" è la version della terza traccia e "Huston Dub", che è la traccia da cui è stato estrapolato il primo interludio, concludono più che degnamente l’ascolto.
Anche ai Moon Invaders spetta un dieci e lode in ska applicato, il loro disco è veramente bello, prodotto, registrato e mixato dal solito Victor Rice.
L’invasione dei Moon Invaders è cominciata.

Sergio Rallo




 
 
 

La Mosca Tzè Tzè - "Visperas De Carnaval"  
(CD - EMI Music - 1999)


E vi pareva che Skabadip non volesse dire la sua sul fenomeno dell’estate 2000? Non capirò mai chi decide che un brano avrà successo durante l’anno. Non so. E’ più forte di me. Cioè, io mi immagino un tizio, sicuramente grasso, sudato e con la faccia da citrullo che un giorno, stanco delle varie Macarene, delle varie “ti amo ti amo, I love you!" (a proposito, complimenti al paroliere), delle “però mi piaci" e meteore simili, si mette una mano sul cuore e decide che per una volta, il pubblico può essere deliziato da qualche suono diverso.
Non vale solo per lo ska, intendiamoci, però fa piacere vedere che ogni tanto qualcuno ci da credito. Di “Para no verte mas", giuro che non dirò nulla, visto che cominciavo a credere che ormai fosse stato adottato come inno nazionale. Non ne parlerò anche perché quest’album è anche altri 13 brani. 14 con la cancion escondida. Non ci sono due brani simili, e questo lo rende un disco interessante. Come prima cosa, si ha la conferma che lo ska sudamericano è, lo si dice da sempre, troppo sottovalutato.
Anche perché lo ska di quelle parti ha delle sonorità uniche. Ricordano un pochino i primi “Fabulosos Cadillacs". Io impazzisco per la lingua: trovo lo spagnolo molto musicale; poi la ritmica. Coinvolgente. Se chiudo gli occhi mi pare di essere al carnevale di Rio. Da quelle parti hanno una bravura unica nell’infilare percussioni al fulmicotone da tutte le parti. Credo sia uno dei loro punti di forza.
Come ritmi, qui si spazia verso tutte le direzioni dello scibile umano. Dal rocksteady andante come in “gira el ventilador", a brani festaioli tipo “yo te quieto dar", ad atmosfere swingheggianti in “sobre illuminados e illuminadores", a ska di quello del genere 1000% ska.
Da ballare allo stremo come in “balla para mi", “No te enamores de mi" dove spicca un trombone da oskar, “marineros", “Magalì", il mio preferito, “no te despiertes mi amor"; non mancano interessanti escursioni reggae come in “no dejarè", e ritmi molto sudamericani come “chà-chà-chà" e ammiccamenti verso i Fabulosos Cadillacs come in “Sin Carnaval", con grandi cori.
Un disco per nulla commerciale, musicalmente vario, intelligente, divertente.
Complimenti allo chef. Ottimo. Faccio il bis.

Antonio Crovetti




 
 
 

MU330 - "MU330"
(CD - Asian Man Records - US, 1999)


Ennesimo cd per i MU330, sigla di cui ignoro la provenienza così come ignoro il numero totale di prodotti sfornati dai nostri baldi giovani della terra dello zio Sam (per favore, non dite ad Alessandro che ho perso il materiale che mi ha spedito con il cd durante le pulizie tardo-primaverili dell’ufficio).Alt, fermi tutti sono riuscito a ritrovare il tutto e quindi si ricomincia da capo.
Quarto lavoro per i MU330 (continuo ad ignorare cosa significhi), band di cinque elementi proveniente da St. Louis e che vede lo Ska come una miscela formata aggiungendo punk e rock in parti quasi uguali il tutto eseguito a velocità moderata.
Copertina tratta dall’album di famiglia di qualche componente della band (credo) con gita fuoriporta dove garrisce la bandiera stelle e strisce sul davanti e una simpatica nidiata di biondi all american boys and girls sul retro.
Si parte con "vow vow" con attacco veloce di chitarra, tamburi quasi tribali ed un bel sottofondo di basso dove i fiati si inseriscono raramente, un assolo di chitarra distorta chiude questo primo pezzo, inizio più lento per "favourite show" in cui scopriamo che i MU330 sono dotati anche di organo che si sente appena sotto il tappeto sonoro creato da batteria e chitarra, fiati che si fanno sentire in maniera maggiore e diversi cambi di tempo con chitarra che passa dal punk allo ska saltellante.
"Pool party" picchia duro cominciando già dall’inizio con chitarra distorta ed una voce che non mi convince, fiati periodici ed abbastanza inutili in questa canzone, in "stagnant water" finalmente appare lo Ska in tutto il suo splendore 2Tone, aumenta di nuovo la velocità in "hot cheese" ma lo ska resta l’interprete principale. "Quick" a dispetto del titolo è un lento reggae, raggiungiamo "San Francisco" un pezzo neo punk americano con inserti degli ottoni su di un jet propulso da "rocket fuel", carburante composto in buona dose da danzereccio 2Tone.
"Stick it" vira di nuovo verso il punk fatto di basso, chitarra e batteria con il nostro amato ska che fa capolino raramente. Discorso a parte merita "Lincoln" un pezzo che mi è piaciuto al primo impatto per il suo inizio di fiati e quell’aria vagamente triste che emana come potrete notare anche voi, o assidui lettori, nel Real Ska posto nella pagina di apertura (se poi non vi piace potete anche dirmelo visto che dal level del registratore potete comunicare direttamente con me via e-mail).
Anche l’intro di "baby rats" è abbastanza simile a "Lincoln" ma non mi ha dato le stesse sensazioni del suddetto brano, bella anche "float trip" e "hoops" sempre sul MU330 style delle ultime canzoni ma con velocità lievemente aumentata la prima più tendente al punk la seconda. Arrivo in volata con "32 cents" che alterna chitarra saltellante e svisate sempre di chitarra coperte dai fiati. Tutto sommato un buon album per i cinque di St. Louis, godibile nei momenti veloci e danzerecci che va migliorando quando la velocità si abbassa ed i fiati prendono il sopravvento. Forse l’unico neo è la voce in un paio di canzoni.

Massimo Boraso





 
 



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