Skabadip is back

 

Desmond Dekker

(The King of Ska)


Tra i grandi interpreti della musica giamaicana Desmond Adolphus Dacres, noto a tutti come Desmond Dekker (si, dal nome del trapano, perché gli piaceva l’assonanza o, secondo altri, perché l’assonanza piaceva a Lesile Kong, suo mentore e produttore), rientra sicuramente tra quelli che furono più amati dai “ruud buoy”, i giovani ribelli delle baraccopoli di Kingston. Basta leggere il testo della sua universalmente famosa “007” per capire la ragione di tale affezione:

“007, 007, at ocean eleven
and a rude boys a go wail
‘cos them out a jail
rude boy cannot fail
cos them mus’get bail
Them a loot them a shoot them a wail (at Shanty town)
When rude boy dep on probation
Then rude boy a bomb up the town”



Insomma, Dekker stava sicuramente dalla parte dei giovani delle periferie, dipinti dal grande cantante in maniera quasi eroica.
La carriera di Desmond era, però, iniziata un po’ di anni prima dell’enorme successo di “007”, di cui non posso esimermi dal dire che entrò, nella primavera del 1967, direttamente al 15° posto della classifica inglese (1) acquisendo il titolo di primo brano giamaicano (2) a raggiungere tale posizione ed acquisendo, altresì, anche quello di primo, vero, successo internazionale made in JA, dato che raggiunse pure la top ten negli USA la stessa estate.
Desmond Dekker era nato a Kingston il 16 luglio del 1942 (3) e, dopo un’infanzia passata nella fattoria della famiglia in Danvers Pen, torna nella città natale a cercare fortuna appena quindicenne. Si mantiene facendo il saldatore e, saldando, conosce e diventa amico di Bob Marley anche lui impegnato nella medesima attività.
Le strade di Desmond e Bob saranno per un certo periodo parallele, infatti registreranno i loro primi brani per il medesimo produttore, quel leggendario Lesile Kong che, con la sua etichetta Beverly’s Records, era riuscito a farsi un nome garanzia di grande qualità portando al successo, tra i tanti talenti da lui scovati, Derrick Morgan (“Housewife Choice” e “Blazing Fire”) e Jimmy Cliff (“Miss Jamaica”) e che produsse proprio “Honor Your Mother and Your Father” di Dekker e “Judge Not” e “One Cup Of Coffee”, i primi due brani mai registrati da Marley.
Il sodalizio con Lesile Kong durerà fino alla morte di questi nel 1971, tragico avvenimento che colpì grandemente tutta la “scuderia” del grandioso produttore composta di artisti senza pari tra i quali, oltre ai citati, Desmond, i Maytals, i Gaylads, i Pioneers (il cui leader era il fratello di Desmond, George Dacres) e Ken Boothe.
Aveva superato da poco i venti anni quando Desmond Dacres decise che la sua strada era il canto professionale. Pare che gli esordi non siano stati tra i più facili visto che Derrick Morgan (all’epoca già famoso e vero e proprio talent scout e consigliere artistico di Lesile Kong) racconta a Steve Barrow e Peter Dalton nella Rough Guide “Reggae”, che non fece registrare a Desmond neppure una canzone per due anni! Glielo avrebbe concesso solo appena avesse ritenuto che era pronto! E così fu con la citata “Honor Your Mother and Your Father”.


Fin dagli inizi, la musica di Desmond Dekker si caratterizza per una soavità che trova qualche analogia solo nel lavoro di gente dalle voci splendenti come Keith “Slim” Smith, Pat Kelly o John Holt. E’ la voce di Desmond Dekker col suo tono meraviglioso, brillante, capace di un’elasticità senza eguali ed in grado di passare da acuti falsetti a toni da baritono a conferire alle sue canzoni l’energia che le fa restare ancora oggi tra le più ballate tra i cosiddetti “oldies”. La leggiadria della voce di Desmond Dekker si sposa perfettamente con le melodie orecchiabili che la sua mente partoriva in continuazione. Ciò avviene fin dai primi sfolgoranti ska tipo “King of Ska”del 1964 (un brano, originariamente con Toots ed una donna non identificata come backing che, dalla sua riedizione del 1991 nell’omonimo ed ottimo album di remake di tutti i suoi grandi successi (4), non ha mai mancato di essere presentato ai concerti dal vivo) o “Wise Man” e l’irresistibile “Get Up Edinah” (5).
Desmond nel periodo ska, oltre a quelle citate, inventa una dopo l’altra una serie di canzoni avvincenti come “It’s A Shame” e “Rudy Got Soul”.
Come detto all’inizio, sarà “007” a diventare uno dei più duraturi successi di Dekker, durevolezza testimoniata dalle innumerevoli covers eseguite nello stesso periodo tra la fine del 1966 ed il 1967 da, tra gli altri, Prince Buster e Byron Lee & the Dragonaires.
Il brano fa anche come colonna sonora del film culto “The Harder They Come” e diventa anche il titolo del primo album di Dekker.
Sempre nel 1967 Desmond, accompagnato, all’inizio da un notevole quartetto (i Four Aces ovvero Barrington E. Howard, Winston J. Samuel, Patrick Johnson e Clive Campbell), poi, da un duo (composto dai soli Howard e Samuel), registra alcuni capolavori dell’epoca rocksteady come “You’ve Got Yoor Troubles” (I’ve Got Mine), “Mother Pepper”, “Shing A Ling” passando da solari incitazioni alla danza come “Rude Boy Train” a “cattivi” rocksteady ipnotici come “Fu Manchi” e per confermarsi leader tra i cantanti favorevoli ai rude boys oltre a Rude Boy Train registra anche “Rudy Got Soul”.
Oltre a quelli appena citati altri brani avvincenti come “Sabotage” e “Unity” vengono inseriti nel secondo album “Action!”. Proprio con “Unity” il trio arriva secondo al Festival della Canzone del 1967 dopo aver vinto l’anno prima l’Award come migliore gruppo nel 1966 e l’altrettanto prestigiosa Sonny Bradshaw Cup.
L’anno successivo il gruppo di Desmon si rifà vincendo il Festival e scalando la classifica con una altro “martello” tutto da ballare: “Music Like Dirt” (Intensified ‘68). Il successo verrà inserito nel terzo album accreditato a Desmond Dekker and the Aces: “Intensified”, sempre per la Beverly’s e con il fiero sottotitolo “Festival Champios”.
Lavorando sempre fianco a fianco di Lesile Kong (e supportato dalla potente ritmica della studio band costituita solitamente da Gladstone Anderson al piano, Winston Wright alla tastiera, Jackie Jackson al basso, Paul Douglas alla batteria ed il grandioso Hucks Brown alla chitarra), alla fine del 1968, Dekker registra “Israelites”.
La canzone, dopo lo sfolgorante successo in patria, grazie alla distribuzione che l’onnipresente Blackwell faceva in Inghilterra del materiale concesso in licenza da Kong, schizza immediatamente al numero 1 della classifica e, pochi mesi dopo, al nono posto della classifica degli Stati Uniti d’America. In Inghilterra e, in particolare, nella sua capitale, la canzone diventa una delle colonne sonore preferite dagli skinheads, i nuovi rude boys urbani.


Pur essendo piccolo di statura Desmond, alla fine del 1969, è un gigante della musica nera caraibica. Il suo nome è sinonimo di Reggae, la nuova musica che coinvolge quasi tutte le etichette discografiche europee a cimentarcisi, ben prima del successo mondiale che avrebbe avuto da lì a pochi anni, Marley.
Per chi non lo sapesse anche in Italia ci furono gruppi che suonarono del vero Early Reggae sulla scorta del successo di Dekker.
Desmond Dekker, ormai una superstar, si trasferisce in Inghilterra, dividendosi definitivamente dagli Aces. Lì, inizia un’intensa attività concertistica, scrive “Pickney Gal” e si ripiazza ai vertici della classifica inglese con la propria versione di “You Can Get It If You Really Want” di Cliff (5). Quello stesso anno, come detto, muore Lesile Kong e Desmond Dekker viene messo sotto contratto dall’etichetta Cactus (che produrrà poi anche Judge Dread). Per quest’ultima etichetta Dekker riregistra nel 1975 “Israelites” che, a conferma della sua bellezza, regala a Desmond, a pochi anni di distanza dal successo originale, un bel decimo posto e, sempre nello stesso anno, la nuovissima “Sing A Little Song” una canzone che condivide con tutte quelle uscite dal genio di Dekker una melodia immediatamente orecchiabile che immancabilmente si fece strada nelle classifiche sino al 16° posto.
Durante la seconda metà degli anni ’70 Dekker è poco produttivo e, con l’affermarsi del reggae “impegnato”, alla Tosh, Marley e Burning Spear, lui come altri artisti tra cui anche quelli più anziani come Aitken e Morgan vedono notevolmente ridursi il proprio pubblico ma, come per questi ultimi, è proprio l’ondata del nuovo ska two tone che lo riporta in auge.
Dekker riprende l’attività live e registra per la stessa etichetta dei Madness (Stiff Records) l’album “Black and Dekker” nel 1980. Si tratta di un remake dei suoi principali successi tendente come suoni allo ska in voga in quel momento. Non certo un album “storico” ma di sicuro interesse sì per ogni appassionato del lavoro di Dekker e per il fatto che Dekker è accompagnato da alcuni membri di gruppi come gli Akrylykz, the Rumor, the Equators, da suo fratello George dei Pioneer e, in due brani, da Jackie Mittoo! Si tratta di ska moderno e divertente con lo stesso fascino che potevano avere all’epoca altri gruppi two tone. Una delle tracce che tuttora ascolto con gran piacere è sicuramente “Please Don’t Band”, un esempio ottimo di ska anni ‘80.
Minor fortuna avrà il seguito, sempre per la medesima etichetta, “Compass Point” del 1981 che, se da un lato anticipa certo reggae elettronico alla UB40, dall’altro è troppo freddo e tecnologico oltre che privo i tracce di “peso” per piacere anche solo a coloro che avevano gradito l’album precedente. Delle undici tracce dello sfortunato album salvo solo la canzone “Isabella” un reggae notturno dalle atmosfere dilatate da dub che è oggettivamente una bella.
Dopo un periodo economicamente difficile, alla metà degli anni ’80, Dekker ricomincia a fare spettacoli dal vivo riproponendo il suo ampio catalogo di successi propri a quell’epoca ripubblicati dalla Trojan nella compilation che non potrebbe mancare ad ogni appassionato che si rispetti ovvero “Desmond Dekker & the Aces” Trojan 1985 che viene seguita, due anni più tardi, dall’ottimo live “Officially Live and Rare” per la medesima etichetta.


Sulla scia della terza ondata “ska” tra fine ’80 e inizio anni ’90 Dekker gira tutta l’Europa e gli Stati Uniti e, come altri artisti giamaicani dello stesso calibro, arriva fino in Giappone.
Nuove registrazioni non ne effettua ma si moltiplicano le compilation dei suoi successi con miriadi di etichette diverse.
Quelle che valgono, sono senz’altro le raccolte della Trojan tra cui “Musik Like Dirt” del 1992 e l’ultima, in ordine temporale, “First Time for Long Time” del 1997 che contengono molti brani editi in formato CD per la prima volta tra cui cito tra le tante altre bellissime “King Of Ska”, “Sweet Music”, “Don’t Blame Me”, “Coconut Water”, “My Reward” e “Little Darling”.
Il 1991 segna il ritorno in studio di Desmond Dekker in veste di artista e produttore in accoppiata con Delroy Williamson ed è un ritorno eccellente per gli appassionati di Ska: “King Of Ska”.
La formula è la stessa di Black and Dekker ovvero versioni moderne di alcune tra le sue più belle canzoni come “This Woman”, “Get Up Edinah” (5), la stupenda “The More You Live”, “King Of Ska”, “Wise Man” ed altre cinque. Il suono è moderno, brillante, la band che l’accompagna è quella che gli ha fatto da backing band almeno dal 1986 ed è formata da gente che sa bene cosa sono ska e reggae oltre ad essere implementata dalla sezione fiati capitanata dal solito Eddie “Tan Tan” Thornton alla tromba. “King Of Ska” è stato per lungo tempo uno dei miei album preferiti, eccitante, divertente, veloce e con un Desmond Dekker sempre in grado di soddisfare le aspettative.
Due anni più tardi, con i restanti Specials (alcuni di questi ultimi appena usciti dalla “joint venture” insieme ad alcuni de The Beat conosciuta come the Special Beat) viene dato alle stampe “King Of Kings” sempre etichettato Trojan e prodotto dall’originale produttore degli Specials ai tempi di Jerry Dammers ovvero Roger Lomas.


L’album è un tributo ai grandi dello ska del passato e contiene 12 cover di alcuni dei più noti successi giamaicani della fine dei ’50 e prima metà del ’60 tra cui “Fat Man”, Easy Snappin’” “Humpty Dumpy”, “King Of Kings”, “Jamaica Ska”, “Oil In My Lamp”, “Take t Easy” e “Carry Go Bring Come”. Il disco, però, verrà subissato di critiche da parte di quasi tutti gli allora “esperti del settore”.
Il fatto è che in quell’album i fan degli Specials non riconobbero affatto i loro idoli nel suono “leggero” che affligge il lavoro, i fan dello ska tradizionale che si aspettavano qualcosa di più “original” non apprezzarono, invece, la produzione ultra moderna e, per finire, i fan dello ska veloce che avevano adorato il precedente album lo trovarono moscio!
Io, all’epoca, non lo trovai affatto male. Certo, come suoni e arrangiamenti non era “in stile” ma certo “King Of Kings” non era meritevole delle critiche a volte pesanti che lessi sullo Skinhead Time e, anzi, a distanza di tempo, il disco mi appare di una certa gradevole sofisticatezza e Dekker è pur sempre il notevole interprete di motivi più che famosi.
Dovranno passare altri tre anni ed innumerevoli concerti per rivedere Dekker in studio di registrazione. Lo farà, sempre in coppia con Delroy Williamson, come produttore e cantante per registrare “Moving On” un disco di reggae moderno, più vicino al dance hall e che contiene una serie di cover tra cui, tra le migliori, indico sicuramente la stupenda “Mother and Child” di Paul Simon, già riproposta all’inizio degli anni ’70 dai Pioneers, e “Wonderful World” in varie versioni dubbate.
Anche quest’ultimo disco, però, non susciterà interesse nel mondo ufficiale del reggae e dello ska passando quasi del tutto inosservato.
L’ultimo album registrato in studio da Dekker, sempre per la Trojan, sarà “Halfway To Paradise” del 1999.


“Halfway to Paradise” con le sue 17 tracce di puro ska/rocksteady limpido, luminoso, pulito è veramente quello che i suoi fan più affezionati aspettavano da tempo: Desmond Dekker ripropone oltre la splendida title track anche “Wimoweh” e “Hang On Sloopy” oltre ai calypso resi famosi da Belafonte “Island inthe sun”, “Day Light Come” e “Jamaica Farewell” e lo fa con una intensità ed un brio che fanno innamorare subito dell’album e dell’interprete al primo ascolto.
Nonostante l’indubbia grazia, il disco non viene supportato da alcuna pubblicità e passa inosservato dal grande pubblico e, di sicuro, a quell’epoca le vendite dell’album non sono la principale fonte di sostentamento di Dekker che proviene, invece, dall’attività dal vivo.
Dekker in quegli anni continua imperterrito a calcare i palchi di mezzo mondo proponendo il suo irresistibile set di canzoni tutte da cantare e ballare, riempiendo i locali di quella gente che ha potuto vedere il grande Cantante saltare, ballare, incitarla con l’energia di un ragazzino e con una delle voci più belle che si potesse ascoltare.
L’ultima registrazione di sicuro interesse è il live in formato DVD contenente un’intervista esclusiva che è rintracciabile sul sito ufficiale del Nostro.
Desmond Dekker è morto a Londra il 26 maggio 2006 a causa di un inaspettato attacco di cuore che lo ha colpito mentre faceva le prove per la lunga serie di concerti che erano programmati per la primavera estate del 2006.



1) (o al 14°, secondo altri, chi può controllare, lo faccia!);
2) (per la cronaca, “My Boy Lollipop”, di Mille Small, era sì arrivata al secondo posto della classifica inglese nel 1965 ma era stata registrata a Londra con musicisti bianchi diretti da Ernest Ranglin);
3) (altri come il Jamaica Observer del 26 maggio 2006 cita il 16 luglio del 1941, ma ho incontrato, pur restando inalterato il giorno, altre date: in Who’s Who of Reggae è indicato sempre il 1942; il 1943 è indicato sia da Steve Barrow, sul retro del doppio album “Officially Live and Rare”, Trojan 1987, sia da Laurence Cane-Honeysett nelle note della pregiata raccolta “First Time for a Long Time”, sempre Trojan, 1997; infine, giusto per dare ancor meno certezze, ho trovato indicato il 17 luglio del 1941 sulla versione on line del Jamaica Gleaner!);
4) Appunto “King Of Ska” Trojan Records 1991;
5) Curiosità: nell’album di cui alla nota precedente è intitolata erroneamente “Get Up A Diner”.


 

DISCOGRAFIA ESSENZIALE:


This is Desmond Dekkar - LP Trojan - 1969

You Can Get It If You Really Want - LP Trojan - 1970

Double Dekker - LP Trojan - 1974

Sweet 16 Hits - LP Trojan - 1978

Israelites - LP Creole - 1979

Black and Dekker - LP Stiff - 1980

Profile - LP Teldec - 1981

Compass Point - LP Stiff - 1981

The Original Reggae Hitsound of Desmond Dekker and the Aces - LP Trojan - 1985

20 Golden Pieces - LP Bulldog - 1987

Greatest Hits - CD Evergreen - 1988

Best of and The Rest of Desmond Dekker - CD Action Replay/Trojan - 1989

King of Ska - CD Trojan - 1991 **

King of Ska - CD Varese - 1991 **

Music Like Dirt - CD Trojan - 1992 *

Rockin' Steady: The Best of Desmond Dekker - CD Rhino - 1992

Israelites: 20 Greatest Hits - CD Point 2 - 1992

Crucial Cuts: The Best of Desmond Dekker - CD Trojan - 1993

Black and Dekker/Compass Point - CD Castle Music - 1994

Shanty Town Original - CD Drive Archive - 1994 *

Action! - CD Lagoon - 1994

King of Kings - CD Trojan - 1995 **

Archive - CD Rialto Records - 1996

Moving Out - CD Trojan - 1996

Officially Live and Rare - CD Trojan - 1997

Intensified - CD Lagoon - 1997 *

First Time for a Long Time: Rarities (1968-1972) - CD Trojan - 1997

The Original Rude Boy - CD Music Club - 1997

The Writing on the Wall - CD Trojan - 1998

Israelites: The Best of Desmond Dekker - CD Hallmark - 1998

Halfway to Paradise - CD Trojan - 1999

Rude Boy Ska - CD Recall Records - 2000

The Best of Desmond Dekker - CD Music Club Records - 2000

Desmond Dekker and the Aces - CD Action! - 2000 *

Best of Desmond Dekker: The Israelites - CD St. Clair Records - 2001

Israelites Anthology 1963-1999 - CD Trojan - 2001

Israelites The Best of Desmond Dekker - CD Trojan - 2002

Rudy Got Soul The Complete Early Years 63-68 - CD Trojan - 2003

Live In London - DVD - 2003

The Best of Desmond Dekker - CD Castle Pulse - 2004

Sing a Little Song - Double CD Boxset with DVD Interview - 2004

You Can Get It if You Really Want - CD Trojan - 2005

Gimme Gimme - CD Brook - 2005

The Israelites - CD DHF Records - 2005 ***



* with The Aces   ** with The Specials   *** with Apache Indian

a cura di Sergio Rallo




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